La prova di resistenza e l’interesse ad agire nel Processo Amministrativo.

La prova di resistenza, quale diretta declinazione dell’interesse ad agire di derivazione processual-civilistica, assume un rilievo centrale nel contenzioso amministrativo e, segnatamente, in tema di contratti pubblici.

Di Avv. Roberto Fornarola

L’INTERESSE AD AGIRE


All’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (avvenuta per effetto del d.lgs. 2.7.2010, n. 104), si deve il merito di avere scolpito nella littera legis l’osmosi di alcune fondamentali disposizioni processual-civilistiche nell’ordinamento più squisitamente pubblicistico.

I rinvii compiuti al codice di procedura civile (“fonte dei fondamentali principi processuali”) si sono, infatti, imposti “per ragioni non solo di semplificazione ed economia normativa, ma principalmente per una scelta di coerenza sistematica del diritto processuale” (cfr. la Relazione di accompagnamento al c.p.a.).

Il prodotto “finale” è stato un codice “che, pur nella sua autonomia rispetto a quello di procedura civile, fa proprie le regole di questo che sono espressione di principi generali” (quest’ultima precisazione è stata, poi, ripresa, in sede di codificazione, dall’art. 39, comma 1).

Ebbene, tra le norme “che sono espressione di principi generali”, rientra, senz’altro, quella dell’art. 100 cod. proc. civ., in virtù della quale “Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”. Una norma, quest’ultima, sulla cui pacifica applicabilità al processo amministrativo, la giurisprudenza amministrativa, anche risalente, (cfr., Consiglio di Stato, Sez. V, 7.8.1996, n. 884) non ha mai seriamente dubitato.

Emblematiche, per tornare ai giorni nostri, le illuminanti argomentazioni cui è pervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza del 26.4.2018, n. 4.

Secondo il Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa, nel processo amministrativo, i principi generali in materia di condizioni dell’azione (muniti, è bene precisarlo, di diretto aggancio costituzionale nell’art. 24 della Carta Fondamentale) sono così declinabili:

a) l’interesse ad agire (o a ricorrere) è dato dal rapporto tra la situazione antigiuridica che viene denunciata e il provvedimento che si domanda per porvi rimedio, e questo rapporto deve consistere nella utilità del provvedimento, come mezzo per acquisire all’interesse leso la protezione accordata dal diritto (tra le tante, Cass. Civ., Sez. III, 2.12.1998, n. 12241);

b) l’interesse ad agire è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano quello di derivazione civilistica, “vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato”.

Il concetto è stato, poi, sviluppato dalla successiva elaborazione giurisprudenziale, secondo la quale “l’interesse ad agire si collega alla ‘lesione della posizione giuridica del soggetto’ e sussiste qualora ‘sia individuabile un’utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento’ (Cons. Stato, II, 20 giugno 2019, n. 4233); esso è individuato in particolare nel vantaggio che il ricorrente può conseguire per effetto dell’accoglimento del ricorso, e consiste nella ‘concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto’ (Cons. Stato, V, 7 gennaio 2020, n. 83; II, 24 giugno 2019, n. 4305; IV, 1 marzo 2017, n. 934; 23 agosto 2016, n. 3672; VI, 21 marzo 2016, n. 1156; IV, 20 agosto 2015, n. 3952)” (così, Consiglio di Stato, Sez. V, 12.5.2020, n. 2969).


LA PROVA DI RESISTENZA ED IL SUO MULTIFORME RAPPORTO CON LE PROCEDURE AD EVIDENZA PUBBLICA


La condizione dell’azione delineata dall’art. 100 del codice di procedura civile trova, come già in precedenza anticipato, piena attuazione anche nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica disciplinate dal decreto legislativo 18.4.2016, n. 50.

Anche in materia di contratti pubblici, dunque, le censure proposte devono essere sorrette da una specifica istanza di protezione degli interessi individuali.

Allorché la procedura sia conclusa e si domandi, dunque, l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione (parzialmente diverso è, infatti, il discorso, laddove si demandi la caducazione del provvedimento espulsivo dal confronto concorrenziale emanato dall’Amministrazione), il ricorrente deve comprovare di essere titolare di un interesse specifico, che la giurisprudenza è solita individuare o nella prospettiva dell’affidamento della commessa pubblica o nel rinnovamento dell’intero procedimento selettivo.

Occorre, in altri termini, far particolare attenzione alla posizione della parte ricorrente rispetto alla procedura selettiva le cui operazioni sono prospettate come illegittime

La tipologia di interesse ad agire idonea a giustificare l’ammissibilità del ricorso si atteggia, infatti, diversamente a seconda della specifica finalità perseguita dalla parte con l’iniziativa giurisdizionale concretamente esperita.

A tal proposito, può dirsi che gli elementi discretivi che devono orientare l’indagine del Giudice Amministrativo scaturiscono:

i) dall’interesse fatto valere dal concorrente, rinvenibile o nell’aspirazione al conseguimento del bene principale della vita (i.e. nell’affidamento del contratto di appalto), ovvero, nella prospettiva di una rinnovazione dell’intero procedimento selettivo.

Se l’operatore economico ricorrente persegue l’aggiudicazione del contratto, egli è tenuto a dimostrare che, dall’auspicato accoglimento del gravame, ritrarrebbe il vantaggio concreto dell’aggiudicazione in suo favore.

Se le censure proposte sono, invece, dirette ad ottenere l’annullamento dell’intera procedura, il ricorrente non ha l’onere di fornire alcuna prova di resistenza, perché “l’utilitas -che in ipotesi siffatte la parte ricorrente in giudizio può ritrarre- è quella della rinnovazione della gara, interesse strumentale che la Corte di Giustizia UE riconosce, nelle controversie relative all’aggiudicazione di appalti pubblici, come meritevole di tutela per esigenze di effettività” (Consiglio di Stato, Sez. III, 16.4.2018, n. 2258; Sez. III, 2.3.2018, n. 1312; Sez. VI, 1.4.2016, n. 1288).

Sul punto, il dibattito risulta, in realtà, tutt’altro che sopito. Secondo parte della giurisprudenza (tra le tante, Consiglio di Stato, Sez. III, 22.6.2018, n. 3861, da ultimo ripresa dal T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, 15.1.2020, n. 22), nel caso di impugnazione degli atti di una gara pubblica, il ricorrente deve, comunque, provare che, in caso di rinnovata celebrazione della gara, egli sarebbe riuscito (o quanto meno avrebbe avuto una ragionevole probabilità in tal senso) a collocarsi al primo posto nella graduatoria finale;

ii) dalla posizione in graduatoria dell’operatore economico che invoca l’intervento giurisdizionale.

L’impresa che agisce in giudizio deve, invero, articolare motivi di ricorso, dal cui accoglimento, discenderebbe l’estromissione di tutti i concorrenti collocati in una posizione più favorevole rispetto alla sua, in modo tale da aprire la strada verso uno scorrimento della graduatoria utile per poter aspirare all’aggiudicazione del contratto.

Secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, infatti, “E’, più specificamente, la possibilità da parte dell’impresa che abbia partecipato alla gara di divenirne poi aggiudicataria all’esito della rinnovazione delle operazioni e/o esclusione delle concorrenti che hanno ottenuto un miglior punteggio, che integra l’interesse al ricorso meritevole di tutela” (tra le tante, Sez. V, 2.9.2016, n. 3792; Sez. V, 21.2.2011, n. 1082).

I Giudici Amministrativi, hanno, tuttavia, precisato che l’utilità che l’impresa intende ritrarre dall’accoglimento del ricorso deve derivare in via immediata e secondo criteri di regolarità causale dall’accoglimento del ricorso e non già in via mediata da eventi incerti e potenziali, quali, ad esempio, l’esito negativo di una verifica di anomalia;

iii) dal criterio di aggiudicazione prescelto dalla Stazione appaltante per l’individuazione del soggetto aggiudicatario dell’appalto.

Qualora, negli atti indittivi della procedura di gara, la Stazione appaltante opti per il “criterio del minor prezzoex art. 95, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016, il Consiglio di Stato (Sez. V, 3.11.2020, n. 7000) ha, di recente, riconosciuto che ciò “rende agevole la dimostrazione della prova di resistenza”, atteso che “la dimostrazione dell’interesse concreto ed attuale all’annullamento degli atti di gara discenderebbe in via immediata dalla applicazione di un criterio matematico, proprio di scienze esatte con risultati non opinabili, senza che venga coinvolta alcuna attività valutativa di carattere discrezionale, ancorché tecnico”, in linea generale, preclusa ex art. 34, comma 2, del codice del processo amministrativo.

Di guisa che, ai fini dell’effettivo assolvimento della prova di resistenza, l’impresa partecipante esclusa da una procedura di gara (e che abbia impugnato il provvedimento espulsivo comminatole) dovrà indicare in modo preciso la percentuale di ribasso offerta, al fine di comprovare che quest’ultima, maggiore di quella indicata dall’impresa aggiudicataria, le avrebbe consentito, in caso di annullamento della propria esclusione, di aggiudicarsi con certezza (in modo automatico) la gara.

Le cose stanno, invece, diversamente allorché la procedura di gara sia governata dal criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ex art. 95, comma 4, lett. b), del d.lgs. n. 50/2016.

In tali casi, l’impresa ricorrente deve dimostrare che, in assenza delle contestate illogicità nell’attribuzione dei punteggi, l’esito della gara sarebbe stato diverso e avrebbe determinato l’aggiudicazione in suo favore.

Si tratta, tuttavia, di “impresa” tutt’altro che agevole, se solo si considera che, per costante orientamento giurisprudenziale, la valutazione delle offerte tecniche (nonché l’attribuzione dei punteggi da parte delle Commissioni giudicatrici) rientra nell’ampia discrezionalità tecnica riconosciuta a tale organo, cosicché le censure che attingono il merito di tale valutazione (opinabile) sono inammissibili, perché sollecitano l’esercizio di un sindacato sostitutivo al di fuori dei tassativi casi sanciti dall’art. 134 c.p.a..

Per dirla con le parole del T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 28.10.2020, n. 4909, “a fronte di censure circa la qualità tecnica dell’offerta dell’aggiudicataria, in astratto idonee a superare la c.d. prova di resistenza, […] ferma l’impossibilità di esercitare un sindacato sostitutivo, i limiti del sindacato giurisdizionale si fermano ad un ‘sommario, essenziale, esame delle stesse’, dal quale ‘si evinca motivatamente che dette censure non disvelano un’abnormità della valutazione, del tutto illogica e/o parziale, o un manifesto travisamento di fatto’”.

Il quadro generale presenta, tuttavia, ulteriori elementi di specificità, a seconda di quale sia stato il criterio di attribuzione dei punteggi prescelto dalla Stazione appaltante (tra quelli delineati dall’A.N.A.C. nelle Linee Guida A.N.A.C. n. 2) per i criteri di natura qualitativa.

Qualora sia stato individuato quello noto come “confronto a coppie”, è stata delineata una vera e propria “impraticabilità della c.d. prova di resistenza” (per “l’impossibilità di formulare un giudizio prognostico che vale ad assolvere dal relativo onere probatorio”), perché se è vero che l’attribuzione (sia pure necessariamente discrezionale) di un punteggio per ciascuna offerta legittima la verifica a priori del possibile esito alternativo, tale possibilità deve, in tali casi, ritenersi nondimeno preclusa in ragione della “impossibilità di prevedere ex ante le conseguenze della comparazione, per definizione condizionate dall’attribuzione del punteggio preferenziale non in assoluto, ma in relazione ai singoli confronti tra le offerte, a due a due” (così Consiglio di Stato, Sez. V, 12.9.2019, n. 6157).

Da quanto detto, discende che l’indagine del Giudice Amministrativo (titolare, secondo il decisum dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/18, del potere di rilevare ex officio tutte le questioni, condizioni dell’azione e presupposti processuali, che condizionano la possibilità di pervenire ad una pronuncia di merito”) presenta, dunque, molteplici profili di specificità.

Si rammenta, infatti, che il ricorso è inammissibile (per carenza di interesse, ex art. 35, comma 1, lett. “b”, del c.p.a.) qualora, dall’esperimento della prova di resistenza e in esito a una verifica a priori, dovesse risultare, con certezza, che il ricorrente non otterrebbe il bene della vita perseguito con il giudizio proposto.

Il ricorso verrà, invece, dichiarato, improcedibile ex art. 35, comma 1, lett. c), del codice, allorché il difetto di interesse ad agire dovesse sopraggiungere a giudizio già avviato.


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE


La prova di resistenza, quale diretta declinazione dell’interesse ad agire di derivazione processual-civilistica, assume, dunque, un rilievo davvero centrale nel contenzioso relativo ai contratti pubblici, che, al netto dei processi evolutivi che sistematicamente lo stravolgono, conserva, pur sempre, natura di “tipica giurisdizione ‘di diritto soggettivo’” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 7.4.2011, n. 4).

Vivacissimo è il dibattito che la tematica ha suscitato (e continua tuttora a suscitare) negli operatori del settore, in virtù, soprattutto, delle sue numerosissime propaggini applicative.

Può, infatti, ritenersi che l’interesse ad agire ha costituito il “convitato di pietra” di una delle più significative riforme legislative degli ultimi anni (poi, peraltro, abiurata), oltreché di uno dei maggiori terreni di contrasto in ambito giurisprudenziale

Ci si riferisce, quanto alla prima, al rito c.d. “superaccelerato” di cui all’art. 120, commi 2-bis e 6-bis, del c.p.a., abrogato con il decreto legge 18.4.2019, n. 32 (c.d. decreto “sblocca cantieri”), su cui si erano, peraltro, favorevolmente espressi sia l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (con la pronuncia del 26.4.2018, n. 4), sia la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza del 14.2.2019 (causa C-54/18).

Sul piano più prettamente giurisprudenziale, il pensiero corre immediatamente alla disputa tutta “interna” alla C.G.U.E., relativa alla vexata quaestio dell’ordine di esame del ricorso principale e del ricorso incidentale escludente, da ultimo scrutinata dalla Corte di Lussemburgo nella pronuncia del 5.9.2019, resa nella causa C-333/18.

L’ottuagenaria previsione di cui all’art. 100 del codice di procedura civile gode, dunque, di ottima salute, rivestendo, anzi, carattere di inesauribile attualità e complessità.


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