La giurisdizione penale nello Stato Città del Vaticano

Lo Stato Città del Vaticano come ogni altro Stato sovrano ha piena giurisdizione (anche penale) al proprio interno. Ha i suoi tribunali, può avere un carcere e può condannare chi commette delitti, applicando il proprio diritto penale. Tali norme incriminatici sono rinvenibili nel Codex, nel codice Rocco del 1930 e in alcune delle norme della Legge Vaticana sulle fonti del diritto del 1929.

Di Redazione Compliance Legale

Le norme di riferimento


Norma fondamentale per comprendere a fondo gli aspetti complessi del rapporto intercorrente tra lo Stato Città del Vaticano e lo Stato italiano è l’art. 22 del Trattato del Laterano o Patti Lateranensi (1929). Altrettanto importante è l’art. 3 dello stesso Trattato.

Art. 22 del Trattato: “a richiesta della Santa Sede e per delegazione, che potrà essere data dalla medesima o nei singoli casi o in modo permanente, l’Italia provvederà nel suo territorio alla punizione dei delitti che venissero commessi nella Città del Vaticano, salvo che l’autore del delitto si sia rifugiato nel territorio italiano nel quale caso si procederà senz’altro contro di lui a norma delle leggi italiane”.

Ed infatti, sarebbe troppo oneroso per uno Stato piccolo come le Città del Vaticano attrezzarsi in modo tale da avere l’esercizio pieno ed esclusivo della giurisdizione penale.

Oltretutto sarebbe lesivo dell’immagine della Santa Sede avere un apparato penitenziario e la possibilità che nel territorio vaticano si scontino pene detentive. Si finirebbe in tal modo per deturpare quel profilo religioso e spirituale della Santa Sede.


Le contrapposte tesi in dottrina


Esiste una profonda divisione, in dottrina, sulla questione se per un delitto commesso in territorio vaticano, i giudici italiani, una volta ricevuta la delega, debbano applicare le leggi italiane o le leggi vigenti in Vaticano.

1) Per alcuni autori si deve parlare di “mandato internazionale all’esercizio di una funzione di sovranità” e per tale motivo la sovranità che esercita lo stato mandatario è quella dello Stato mandante.

2) Altri autori invece, ritengono al contrario che proprio perché la funzione penale è manifestazione di sovranità, non è ammissibile l’applicazione di un diritto penale diverso dal proprio.

In favore della prima teoria si sono date due argomentazioni: una letterale, che fa riferimento al dettato normativo dell’art.22 del Trattato e una sostanziale riferita ai principi di diritto penale sostanziale.

L’argomentazione letterale fa leva sull’art. 22 predetto per il quale contro un soggetto che delinque e che si sia rifugiato in territorio italiano si dovrà procedere a norma delle leggi italiane. Si limita l’utilizzo della legge italiana a questo solo fatto citato e si deduce, a contrario, che quando vi è delegazione per punire, l’Italia dovrà applicare non le sue leggi ma quelle vaticane.

L’argomentazione sostanziale invece prende le mosse da un principio generale di diritto penale per il quale un soggetto non può essere punito per un fatto previsto da una norma eterogenea, quale sarebbe quella di diritto italiano, ma solo dalla norma che si assume violata, cioè quella vaticana. Questo principio si riassume nel brocardo latino: “nullum crimen nulla poena sine lege”.

A favore della seconda tesi anzidetta (peraltro la prevalente in dottrina), invece, si è espressa la giurisprudenza. È facile obiettare che la tesi dell’argomentazione letterale non è condivisibile in quanto l’art.22 del trattato non presenta alcuna interruzione e la frase è scorrevole fino a quando si parla dell’applicazione delle leggi italiane.

Per tale motivo si deve ritenere che la legge italiana si applichi indistintamente ai due casi riportati dallo stesso art.22. 

L’argomentazione sostanziale di cui alla prima teoria, peraltro, viene superata dalla circostanza per cui colui che commette un delitto sarebbe tenuto a conoscere la norma del Trattato e, quindi, sapere che contro di lui si applicherà la legge italiana nel caso di delega o di arresto fuori dallo Stato Città del Vaticano.

Altra distinzione importante che deve essere fatta riguarda il caso in cui Piazza San Pietro sia aperta al pubblico e il caso in cui non lo sia.

L’art. 3 del Trattato dichiara espressamente che normalmente Piazza San Pietro è aperta al pubblico e resta soggetta ai poteri di polizia delle autorità italiane. Dette autorità dovranno però arrestarsi ai piedi della scalinata della Basilica salvo che siano invitate ad intervenire dall’autorità competente. Nel caso in cui invece le Santa Sede intenda sottrarre la Piazza San Pietro al libero accesso del pubblico, le autorità italiane si ritireranno al di là delle linee esterne del colonnato berniniano e del suo prolungamento, a meno che non sia loro richiesto di rimanere.


Casi emblematici


Le vicende qui trattate non costituiscono problemi meramente astratti, avendo la storia conosciuto effettivi episodi penalmente rilevanti realizzatisi nella Città del Vaticano.

Si pensino, come casi emblematici:

 1) l’attentato del 1981 alla persona del Pontefice Giovanni Paolo II (art. 276 c.p. con equiparazione del Papa al Presidente della Repubblica in quanto l’art.8 del Trattato del Laterano dichiara che l’Italia riconosce come sacra e inviolabile la figura del Pontefice);

 2) l’omicidio consumato di un comandante del corpo delle Guardie svizzere e di sua moglie da parte di una giovane Guardia Svizzera che, subito dopo il compimento del reato, si tolse la vita. In questo caso non venne fatta richiesta di delegazione in quanto presumibilmente si era voluta evitare una spettacolarizzazione del caso. Le indagini vennero dunque svolte internamente dalle Autorità vaticane;

3) il famoso caso relativo alle emissioni di onde elettromagnetiche da parte di Radio Vaticana, conclusosi con Corte la sentenza della Cassazione Penale, IV Sezione, del 9 giugno 2011, n. 23262, avente ad oggetto la contestazione del reato di cui all’art 674 c.p. per “getto pericoloso di cose”.


Conclusioni


Per l’effetto di quanto esposto nei paragrafi che precedono:

– l’esercizio legittimo dei poteri di polizia da parte dell’autorità italiana è condizione sufficiente per l’esercizio dell’azione penale senza previa delegazione.

– se invece il reato è stato commesso nella piazza San Pietro quando questa è sottratta ai poteri di polizia italiana, si versa nell’ipotesi generale della delegazione necessaria ai sensi dell’ art. 22 del trattato del Laterano.

I poteri di polizia dell’autorità italiana sono quelli di prevenire, accertare e reprimere i reati. Occorre aggiungere che lo Stato Vaticano esercita effettivamente la giurisdizione penale, ma solo per certi reati cosiddetti minori (es. furto semplice, sottrazione di denaro, lesioni personali, abuso di ufficio ecc.). Si tratta di fattispecie che non sono in grado di intaccare l’immagine della Santa Sede, che per tale motivo procede direttamente, senza cioè l’ausilio giurisdizionale dello Stato italiano.


Domande degli utenti: trova applicazione il diritto italiano all’interno del Vaticano?


Ci è stato richiesto di chiarire se dinanzi alle autorità giudiziarie Vaticane (e, dunque, in territorio Vaticano, ovverosia estero) trovi applicazione il Diritto Vaticano piuttosto che quello italiano.

Al riguardo, si rappresenta come sebbene lo Stato della Città del Vaticano sia dotato di apposita struttura/sistema giudiziario, per quanto concerne il corpus normativo/codicistico interno, l’unico codice propriamente di natura “vaticana” è quello di procedura civile emanato da Pio XII (con il motu proprio del 1° maggio 1946). Ed infatti, come disposto dalla legge sulle fonti del Diritto Vaticano (ovverosia la Legge n. LXXI del 2008), lo Stato Vaticano ha recepito e mantiene in vigore il Codice civile italiano del 1942, il Codice Penale italiano del 1889 (passato alla storia come codice Zanardelli) e il Codice di Procedura Penale italiano del 1913.

Pertanto, possiamo sostenere come nello Stato Vaticano trovi applicazione – in via residuale, per quanto non appositamente regolato all’interno dello Stato – il diritto Civile ed il diritto Penale Italiano, così come espressamente richiamato per il tramite della succitata disposizione di legge, ovverosia l’art.3 della Legge n. LXXI, a mente del quale “nelle materie alle quali non provvedono le fonti indicate nell’art. 1, si osservano, in via suppletiva e previo recepimento da parte della competente autorità vaticana, le leggi e gli altri atti normativi emanati nello Stato Italiano. Il recepimento è disposto purché i medesimi non risultino contrari ai precetti di diritto divino, né ai principi generali del diritto canonico, nonché alle norme dei Patti Lateranensi e successivi Accordi e sempre che, in relazione allo stato di fatto esistente nella Città del Vaticano, risultino ivi applicabili”.

Le sentenze pronunziate dai Tribunali dello Stato della Città del Vaticano, altresì, sono riconosciute nel nostro ordinamento in base alle norme del diritto internazionale.

Da ultimo, per quanto concerne la struttura del sistema giudiziario (così come disposto dalla la legge del 21 novembre 1987, n. CXIX e dalla legge n. LXVII del 24 giugno 2008), identifichiamo:

  • il “Giudice Unico”, di primo grado, per le cause di minore entità;
  • il “Tribunale della Città del Vaticano”, per le cause in materia civilistica e penalistica;
  • il “Tribunale Ecclesiastico”, competente per le questioni concernenti il diritto canonico;
  • una “Corte d’Appello”, di secondo grado;
  • una “Corte di Cassazione”, di terzo grado.

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