I DPCM sono illegittimi: così hanno giudicato i Tribunali di Roma e Reggio Emilia

Dapprima il Tribunale Civile di Roma con ordinanza del 16.12.2020 n. 45986 e, da ultimo, il Tribunale Penale di Reggio Emilia con la Sentenza n. 54 del 27.1.2021, hanno dichiarato, con effetto limitato alle sole parti in causa, l’illegittimità (ed il conseguente annullamento sanzionatorio) dei DPCM emessi sino ad oggi per fronteggiare l’emergenza sanitaria da Covid-19.

di Avv. Manuel Costa

Il Giudicato del Tribunale Ordinario di Roma


A parere del Giudice ordinario di Roma, la limitazione ai diritti fondamentali (costituzionalmente garantiti), verificatasi nel periodo di emergenza sanitaria, è derivata non dalla diffusione pandemica del virus Sars-Cov-2 in quanto tale, ma dalla adozione di provvedimenti normativi ed amministrativi (DPCM) per il tramite dei quali (in ragione dell’esistenza di un’emergenza sanitaria), è stata compressa – ed in alcuni casi finanche abolita – parte delle libertà fondamentali concesse al singolo individuo, accordategli sia dalla Carta Costituzionale che dalle Convenzioni Internazionali.

Quali sono state, dunque, le libertà sino ad oggi compresse? Principalmente la libertà di circolazione, la libertà di riunione, la libertà religiosa, il diritto/dovere all’istruzione, la libertà di iniziativa economica, l’inviolabilità̀ del domicilio, la libertà personale di movimento.

In quest’ultimo caso, ribadisce il Tribunale di Roma, la compressione è consentita solo ed esclusivamente “con provvedimento motivato della autorità̀ giudiziaria” e “solo nei casi e modi previsti dalla legge”, posto che, a priori, “la libertà personale è inviolabile”.

Di talché, il Giudice si è chiesto se le limitazioni derivanti dall’applicazione dei suddetti provvedimenti (con le conseguenti “anomale” modalità), risultino essere legittime o meno.

1. Innanzitutto, il Giudice ha evidenziato come le libertà fondamentali degli individui siano state compresse attraverso lo strumento del DPCM (atto avente puramente natura amministrativa e non normativa). Invero, solo un decreto legislativo, emanato in stretta osservanza di una legge delega, potrebbe contenere norme aventi forza di legge, ma giammai un atto amministrativo, come un DPCM. Da ciò ne discende, dunque, la illegittimità – per quanto attiene alle parti del citato giudizio e ferma naturalmente la giurisdizione in materia da parte del Giudice Amministrativo – delle disposizioni incluse nei vari DPCM susseguitisi nel corso dell’emergenza sanitaria.

2. Ed inoltre, ci si è chiesto se i DPCM siano (o meno) legittimati a comprimere i diritti fondamentali dell’uomo. In risposta a tale quesito, basti qui rappresentare come i Presidenti Emeriti della Corte Costituzionale (Baldassare, Marini, Cassese) abbiano ampiamente dedotto e dimostrato la incostituzionalità dello strumento del DPCM per una tale finalità di utilizzato.

3. Si rileva, infine, un ricorrente difetto di motivazione, oltre che di contraddittorietà della stessa. Ad esempio: per quale motivo è stata consentita l’apertura di bar e ristoranti nel rispetto della distanza di almeno un metro mentre, al contrario, è stata disposta la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado al fine di garantire il medesimo risultato, ovverosia il contenimento della diffusione del virus da Covid-19?

Da ultimo, secondo il Tribunale di Roma, andrebbe chiarito il perché di una classificazione uniforme per la quasi totalità del territorio nazionale (a fronte di dati statistici diversissimi, come ad esempio gli scarsissimi casi presenti in Umbria e Calabria nel periodo di riferimento) al fine di verificare se il provvedimento risponda ai criteri minimi di rispetto della legittimità sotto il profilo sia della motivazione (violazione di legge) che di eccesso di potere per difetto di istruttoria ed illogicità.

Tale iter motivatorio, del tutto generico, appare quindi insufficiente – ad avviso del Tribunale di Roma – a rispettare i parametri richiesti per ogni provvedimento amministrativo ai sensi dell’art. 3 legge 241/1990, con conseguente illegittimità del provvedimento stesso, nel suo complesso.

Pertanto, con effetti tuttavia limitati al contenzioso in questione, è stata dichiarata l’illegittimità del DPCM del 26.4.2020 (in G.U del 27.4.2020, n. 108) e, più in generale, dello strumento del DPCM nel suo complesso.


Il giudicato del Tribunale Penale di Reggio Emilia


Il GIP di Reggio Emilia, con la Sentenza n. 54 del 27.1.2021 ha trattato la tematica di cui al reato ex art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) in relazione agli spostamenti in pieno lockdown – in zona rossa – senza valido motivo e con falsa autocertificazione.

L’analisi condotta dal GIP, sostanzialmente, muove dall’assunto secondo cui i precetti contenuti nel DPCM dell’8 marzo 2020 siano privi di valore giuridico in virtù dell’illegittimità del medesimo Decreto.

Ed infatti, riscontrata l’illegittimità dei precetti contenuti nel DPCM recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 (così come in ogni altro atto amministrativo) per violazione dell’art. 13 Cost., il Giudice ordinario ha il dovere di disapplicare tale DPCM ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 (Allegato E) e, per l’effetto, dichiarare la non configurabilità del delitto ex art. 483 c.p. nei confronti dell’individuo che abbia dichiarato falsamente, per il tramite di autocertificazione, di trovarsi in una delle condizioni che consentivano gli spostamenti all’interno del Comune di residenza.

Ripercorrendo l’analisi condotta dal GIP, dunque, possiamo rappresentare brevemente quanto segue.

L’art. 1 del DPCM summenzionato, deve ritenersi contrario al principio di riserva di legge e giurisdizione disposto dall’art. 13 della Costituzione. Di talché, considerata la necessaria disapplicazione della norma in oggetto per evidente illegittimità, ne deriva la conseguente non punibilità della condotta di falso per due ordini di motivi:

i) esclusione dell’antigiuridicità in concreto della condotta posta in essere dall’individuo;

ii) rilevazione di “un falso inutile” giacché la falsità commessa (nella vicenda di cui trattasi) incide su un documento irrilevante e/o non influente ai fini della decisione da adottare.

L’obbligo di permanenza domiciliare, nell’ordinamento giuridico italiano, consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale, la quale può essere irrogata solo ed esclusivamente dal Giudice penale – per espressa previsione di legge – sempre e comunque nel rispetto del diritto di difesa.

A tal ragione, non può si può non rappresentare come l’art. 13 Cost. stabilisce che le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su […] atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

Dalla lettura del succitato principio costituzionale discendono, quindi, due conseguenze fondamentali:

i) un DPCM (nella specie DPCM 8 marzo 2020 – COVID-19) non può disporre alcuna limitazione della libertà personale, trattandosi di fonte meramente regolamentare di rango secondario e non già di un atto normativo avente forza di legge;

ii) ulteriormente, neanche una legge (o un atto normativo avente forza di legge, come il decreto-legge) potrebbe giammai prevedere (in via generale e astratta) l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini, considerato che l’art. 13 Cost. – come detto – postula una doppia riserva (di legge e di giurisdizione) implicando, dunque, un inevitabile provvedimento individuale e diretto nei confronti di uno specifico soggetto.

Pertanto, a detta del Tribunale di Reggio Emilia, il Giudice ordinario non deve rimettere la questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ma deve procedere direttamente ed immediatamente alla disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per violazione di legge (in questo caso per violazione della Costituzione), poiché trattasi di DPCM, ovverosia di un atto amministrativo.

Da ultimo, un’importante riflessione è stata condotta in merito alla differenza sostanziale fra la libertà di circolazione e la libertà (restrizione) personale.

Il GIP, sul punto, ha affermato che “come ha chiarito la Corte Costituzionale la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio, l’affermato divieto di accedere ad alcune zone, circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare (Corte Cost., n. 68 del 1964). In sostanza la libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà personale: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi; quando invece il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone allora la limitazione si configura come vera e propria limitazione della libertà personale. Certamente quando il divieto di spostamento è assoluto, come nella specie, in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al di fuori della propria abitazione è indiscutibile che si versi in chiara e illegittima limitazione della libertà personale”.

Posto quanto sopra, dunque, è stata pronunciata sentenza di proscioglimento nei confronti di ciascun imputato poiché “il fatto non costituisce reato”.


Avevamo già avuto modo di trattare il tema dell’incostituzionalità dei DPCM in questo articolo (clicca) qualche mese fa, riportando il parere di autorevoli costituzionalisti come Sabino Cassese.

L’orientamento maggioritario, dunque, sembra indirizzarsi sempre più verso l’illegittimità di essi per le ragioni esposte nel presente articolo.


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