La Procura Europea: un nuovo strumento di cooperazione nella lotta alla corruzione

A 5 mesi dalla sua nascita, analizziamo il nuovo organismo della Procura Europa e della sua efficacia nella lotta al fenomeno corruttivo.

di Dott.ssa Camilla Livello


La corruzione, le sue sfaccettature ed i suoi confini

Il fenomeno corruttivo rappresenta una realtà criminale altamente nociva e dannosa per gli equilibri politici, economici e sociali di un Paese ed i cui effetti sono ormai ampiamente noti all’intera Comunità internazionale la quale, preso atto, da tempo, della frammentazione della corruzione in un contesto geografico multinazionale e dell’espansione delle sue conseguenze a livello sovranazionale, ha ritenuto necessario attivare un intervento di risposta non più riservato ai singoli legislatori nazionali ma coinvolgente tutti gli Stati al fine di rendere più omogeneo ed armonizzato, e quindi più effettivo, l’approccio di contrasto a tali condotte illecite.

Un impegno in tal senso è stato dimostrato attraverso strumenti multilaterali, quali convenzioni, adottate sia dalle organizzazioni internazionali sia dall’Unione europea le quali entrambe hanno posto le basi per un’incriminazione unificata della corruzione, definendo a livello normativo gli elementi caratteristici dell’azione criminosa da considerare comuni ai vari ordinamenti giuridici.

Nello specifico, sul piano europeo, l’attenzione delle istituzioni si è concentrata soprattutto su un particolare profilo della corruzione che con il tempo ha visto crescere la sua influenza negativa sugli interessi finanziari comunitari, la cui tutela è divenuta man mano prerogativa degli organi politici, in quanto assunti come bene giuridico autonomo.

La percezione della loro lesione causata da svariate condotte quali frode, riciclaggio, corruzione e appropriazione indebita, ha difatti costituito il punto di partenza di quello che si può definire il percorso di “regionalizzazione” del diritto penale, sia sostanziale che processuale, espressosi in due tappe fondamentali.


La Direttiva PIF: prima tappa dell’azione europea nella lotta al fenomeno corruttivo


La prima fase viene identificata nell’approvazione della Direttiva (UE) 2017/1371 relativa alla “lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale” adottata sulla base giuridica offerta dall’articolo 325 del Trattato di Lisbona (2007), in sostituzione della Convenzione PIF (1995): la disposizione ha difatti sdoganato la possibilità per il legislatore europeo di intervenire direttamente per combattere le attività illegali a danno delle risorse finanziarie UE, rafforzando la sua competenza ad emanare obblighi di incriminazione a protezione di tali beni giuridici.

Il salto di qualità risiede proprio nell’aver abbandonato il limite della riserva assoluta degli Stati membri in materia penalistica, contenuto nel vecchio comma 4 dell’articolo 280 del Trattato di Amsterdam, e nell’apertura dello ius criminale ad una dimensione non più solo statale.

Accanto ai contorni sostanziali delineati dalla Direttiva PIF in tema di fattispecie penali, si è manifestata, tuttavia, la necessità di dare una risposta effettiva a tali forme di criminalità anche e soprattutto sul piano processuale, giungendo dunque alla seconda tappa su indicata ovvero all’istituzione della nuova Procura Europea.


La Procura Europea: seconda tappa dell’azione europea nella lotta al fenomeno corruttivo


Definita con l’acronimo “EPPO” (European Public Prosecutor’s Office), la Procura Europea simboleggia il concetto di cooperazione rafforzata degli Stati nel settore della lotta alle frodi, nei confronti delle quali si sono rivelate spesso insufficienti le azioni penali esercitate a livello nazionale: l’obiettivo perseguito con la nascita del nuovo organo giudiziario consiste proprio nell’attuare una concentrazione delle indagini come rimedio alle differenze che governano le fasi precedenti ai giudizi nei sistemi processuali dei vari Paesi.

Il travagliato percorso che ha contraddistinto l’emersione della Procura, prende le mosse da uno studio accademico (Corpus Juris) effettuato nei primi anni 90’ e proponente un’analisi comparata dello spazio giudiziario europeo con il fine di enucleare principi comuni di tutela delle finanze comunitarie, tra i quali figura l’idea neonata di un Pubblico Ministero europeo necessario per perseguire i reati indicati poi nella Direttiva PIF in esame.

La proposta di progetto è approdata formalmente nel Trattato di Lisbona, precisamente nell’articolo 86 che rappresenta l’applicazione concreta, a livello procedurale, della competenza penale, già analizzata, delineata dall’articolo 325 dello stesso Trattato: la disposizione ha infatti aperto la strada all’emanazione di uno strumento regolativo istitutivo della Procura accanto alla previsione delle fattispecie di sua attribuzione (reati contro gli interessi finanziari europei).

L’accordo finale sull’istituzione dell’Ufficio è stato concluso nel 2017 con il Regolamento n. 1939 contenente la descrizione della sua struttura e dell’esercizio dei suoi poteri.

La composizione della Procura (articoli 8 e 9 del Regolamento) rispecchia pienamente la logica alla base della sua creazione ovvero garantire una completa uniformità tra le norme penali, in materia di interessi finanziari, degli Stati partecipanti all’EPPO.

Essa consta infatti di due strutture, una centrale con sede a Lussemburgo ed identificata nel Procuratore capo e nel collegio di venti procuratori riferiti ad ogni Stato membro, ed una decentrata con sede nelle varie magistrature nazionali dove la figura dei Procuratori delegati (PED), designati dal Consiglio Superiore della Magistratura e poi nominati dal collegio, perseguono, dinanzi alle giurisdizioni ordinarie, le frodi ai danni dell’Unione, applicando il diritto penale nazionale.

Il collegamento tra i due “piani” di Procura avviene grazie all’azione dei Procuratori europei che, a norma dell’articolo 12 del Regolamento, supervisionano e monitorano i movimenti dei PED nelle sedi statali: ciò rende reale l’integrazione tra i diversi poteri giudiziari i quali, pur essendo decentrati, collaborano grazie al coordinamento dell’unità centrale (c.d. national link).

La distribuzione delle competenze tra la sede centrale e quelle nazionali segue i criteri accuratamente stabiliti dagli articoli 25 e 27 che rinviano alla distinzione tra la competenza diretta e la competenza ancillare analizzata nell’articolo 22, e gli eventuali conflitti di giurisdizione sono risolti dalle stesse autorità statali, salva la possibilità di rivolgersi alla Corte di Giustizia europea nelle situazioni di più acuto disaccordo (articolo 42).

La peculiarità del progetto di Procura risiede nel fatto che, non essendo stata raggiunta l’unanimità secondo la procedura dell’articolo 86 TFUE, il regolamento istitutivo ha effetto solo per quegli Stati che hanno aderito allo stesso e in Italia ciò è avvenuto solo recentemente, con il Decreto Legislativo n. 9/2021.

In ogni caso, è comunque garantito un rapporto anche con gli Stati non partecipanti reso possibile grazie alla presenza dell’Eurojust e dell’OLAF, che mediano i collegamenti d’indagine, e agli “accordi di lavoro” di cui all’articolo 105 del Regolamento.


Prospettive future


Ad oggi la Procura Europea si erge a primo e definitivo modello di ravvicinamento tra gli ordinamenti giuridici in materia penalistica, soprattutto in ambito corruttivo. Tale modello è diventato ufficialmente operativo a partire dal 1 giugno 2021, tramite la nomina dei procuratori europei delegati per ogni Stato Membro. Per ora, non rimane che osservare nel tempo il funzionamento del novello organismo, in attesa di un futuro e definitivo riscontro sulla sua reale efficacia.


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