Responsabilità della Pubblica Amministrazione: il danno da ritardo alla luce della Plenaria del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, con l’Adunanza Plenaria n. 7/2021, ha stabilito che Il privato cittadino ha diritto al risarcimento del danno in caso di ritardo o inerzia dell’Amministrazione, nel caso in cui una sopravvenienza normativa gli impedisca di realizzare il progetto.

di Avv. Manuel Costa

L’Adunanza Plenaria n.7


L’Adunanza Plenaria in oggetto, risulta avere una portata dirimente per la risoluzione delle controversie in cui dal ritardo e/o inerzia sulla pronuncia/emanazione di un provvedimento amministrativo da parte della Pubblica Amministrazione (ed esempio nel caso di inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento), ne sia derivato un pregiudizio di carattere economico o una lesione degli interessi legittimi in capo al destinatario del provvedimento, pubblico cittadino o Società commerciale che sia.

Il Supremo consesso amministrativo, invero, con la sentenza n. 7 di cui trattasi, giunge ad affermare che da un siffatto modus agendi da parte dell’Amministratore, ne scaturisce una responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già una responsabilità da inadempimento contrattuale evidenziando, altresì, l’obbligo in capo al Collegio giudicante di verificare che vi sia stata una concreta ed effettiva lesione di un bene della vita.

Sotto un ulteriore profilo, per quanto attiene alla quantificazione del danno risarcibile, è stato affermato che conformemente al disposto di cui all’art. 2056 del codice civile, appare necessaria l’applicazione dei criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta, oltre che dell’evitabilità del danno con l’uso dell’ordinaria diligenza da parte del danneggiato (ex artt. 1223 e 1227 del codice civile), e non anche il criterio della prevedibilità del danno previsto di cui all’art. 1225 del codice civile.


La vicenda


Sostanzialmente, è stata sottoposta all’esame del Consiglio di Stato la problematica afferente all’esistenza o meno di un nesso di causalità fra condotta tenuta dalla Pubblica Amministrazione ed il danno da risarcire, in stretta correlazione con la qualificazione della tipologia di responsabilità dell’Amministrazione, e la conseguente applicabilità del criterio della prevedibilità (succitato) di cui all’art. 1225 del codice civile.

La vicenda verteva sulla richiesta del risarcimento del danno avanzata dal ricorrente giacché, a causa del ritardo nel rilascio delle autorizzazioni, l’investimento da egli sopportato sarebbe inevitabilmente divenuto antieconomico, in ragione del divieto di accesso al regime incentivante connesso alla produzione di energia da fonti rinnovabili (ex art. 7 del d.lgs. n. 387/2003, ora abrogato), con specifico riferimento agli impianti fotovoltaici realizzati con moduli collocati a terra su fondi agricoli.

Dunque, il Supremo Consesso amministrativo ha dovuto dapprima stabilire se la sopravvenienza normativa summenzionata (abrogazione del d.gs. 387/2003) abbia interrotto – o meno – il nesso causale tra l’inerzia dell’amministrazione (nel determinare per tempo l’accesso al sistema incentivante su istanza della società ricorrente), ed il danno lamentato dalla ricorrente a titolo di lucro cessante, derivante dal venir meno dei margini economici scaturenti con l’accesso al regime incentivante definendo, di talché, sia la misura/quantificazione del danno risarcibile, che la natura della responsabilità ascrivibile in capo alla P.A.

L’Adunanza Plenaria, sul punto, ha ritenuto:

i) in primis, di rappresentare come la responsabilità in cui incorre l’amministrazione per l’esercizio delle proprie funzioni pubbliche/prerogative, sia sussumibile nell’ipotesi di responsabilità da fatto illecito (principio del neminem laedere – ex art. 2043 c.c.). Ed infatti, se generalmente la responsabilità da inadempimento (contrattuale – ex art. 1.218 c.c.) si basa sull’inesatto adempimento dell’obbligazione cui il debitore è vincolato in virtù del patto contrattuale sottoscritto, un simil vincolo (obbligo) contrattuale giammai potrà essere configurato nei rapporti intercorrenti tra privato e Pubblica Amministrazione.

Invero, il rapporto giuridico che si instaura tra il privato cittadino e l’amministrazione, si connota della presenza di due situazioni soggettive entrambe attive, ovverosia da un lato l’interesse legittimo del privato e, dall’altro, il potere della P.A. nell’esercizio delle proprie prerogative fornitegli dal legislatore, finalizzate unicamente al perseguimento dell’interesse pubblico.

Ne discende, dunque, in capo all’Amministrazione, un potere attribuito ex lege, da esercitarsi in conformità ad essa ed ai canoni di correttezza e buona fede e non, al contrario, una responsabilità da inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c. (in quanto il rapporto tra P.A. e cittadino non è ascrivibile al quadro sostanziale dei rapporti giuridici di tipo privatistici), piuttosto che una responsabilità da “contatto sociale“, giacché la relazione tra privato cittadino e pubblica amministrazione risulta essere configurata sempre e comunque in termini di “supremazia” da parte di quest’ultima, da intendersi come asimmetria che mal si concilia con le teorie sul “contatto sociale”, imperniate sulla relazione paritaria tra soggetti giuridici.

Pertanto, è stato devoluto al giudice amministrativo il potere di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno da illegittimo esercizio del potere pubblico, con una particolare accezione di carattere “rimediale”, ovverosia come “strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione (cfr. Corte costituzionale, sentenza 26 luglio 2004, n. 204), in quanto tale attribuito al giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica (cfr. Corte costituzionale, sentenza 11 maggio 2006, n. 191).

Le deduzioni di cui sopra, tra l’altro, trovano espresso riscontro finanche nella normativa di settore (processuale piuttosto che sostanziale), posto che la “tutela piena ed effettiva” ex art. 1 del codice del processo amministrativo (abbreviato c.p.a.) si attua con la concentrazione presso il giudice amministrativo di “ogni forma di tutela degli interessi legittimi” (cfr. art. 7, comma 7, c.p.a.), e la devoluzione allo stesso organo giudicante delle controversie “relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma” (cfr. art. 7, comma 4).

Ed ancora, al fine di ricondurre il danno da lesione di interessi legittimi al modello della responsabilità per fatto illecito (come rappresentato supra), si considerino i commi 2 e 4 dell’art. 30 c.p.a., i quali rispettivamente fanno riferimento al “danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria“, ed al danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento“.

Per quanto attiene, altresì, alle conseguenze derivanti dal ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento, si rappresenta come l’art. 2-bis, comma 1, l. n. 241 del 1990 (legge sul procedimento amministrativo) abbia previsto che i soggetti pubblici e privati (operanti secondo le regole del procedimento amministrativo) “sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento“.

Di talché, ne consegue che il requisito dell’ingiustizia del danno (ed il conseguente risarcimento) implica l’effettiva verifica/valutazione in relazione alla circostanza per cui l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia effettivamente/concretamente leso – o meno – un bene della vita del privato.

Pertanto, nel corrispondere il quantum a titolo di risarcimento del danno, il giudice dovrà tener conto dell’articolo 1223 c.c., a mente del quale il risarcimento del danno comprende la perdita subita dal creditore (danno emergente) e il mancato guadagno (lucro cessante), purchè ne siano conseguenza immediata e diretta.


ii) quanto al secondo profilo giuridico trattato nella Plenaria in parola, il Collegio si è interrogato sulla circostanza per cui la sopravvenienza normativa costituisca (o meno) un fattore causale autonomo, in grado di interrompere il nesso di consequenzialità immediata e diretta ex art. 1223 c.c. tra la ritardata conclusione dei procedimenti autorizzativi ed il mancato accesso al regime incentivante.

L’Adunanza ha ritenuto che, con specifico riferimento al periodo di tempo antecedente alla modifica normativa che ha soppresso gli incentivi, sia evidente la sussistenza di un rapporto di consequenzialità valido ad far discendere dal ritardo dell’Amministrazione il pregiudizio patrimoniale subito dalla società ricorrente a causa del mancato accesso agli incentivi tariffari.

Ed infatti, la regolarità causale che lega i due eventi (ovverosia i) ritardo dell’amministrazione nell’emanazione del provvedimento autorizzativo e ii) la perdita degli incentivi in capo alla Società istante) non può ritenersi recisa dalla sopravvenienza normativa, poiché è da collocare in tale ritardo la causa scatenante da cui ne è derivato il fatto impeditivo attinente al mancato accesso al sistema incentivante di cui è causa.

L’imputabilità del danno da ritardo all’amministrazione, dunque, appare coerente con la funzione dissuasiva rintracciabile nel brocardo neminem laedere il quale, in coerenza con il fondamento etico di buona fede e correttezza, nonché con il principio di convivenza civile dei consociati (da cui trae origine il rimedio risarcitorio civilistico), impone di ascrivere in capo all’autore le relative conseguenze derivanti dall’esercizio di condotte colpose ingiustamente lesive di altrui interessi patrimoniali .

Altresì, è stato rilevato come nel caso di specie, l’applicazione del criterio della consequenzialità immediata e diretta ex art. 1223 c.c. appare coerente con gli obiettivi perseguiti dal legislatore attraverso la previsione dei termini massimi procedimentali ex art. 2 della l. n. 241 del 1990 (legge sul procedimento amministrativo).

Per cui l’ingiustificato ritardo nel rilascio del provvedimento da parte della P.A. ingenera una responsabilità in capo ad essa coerente con la funzione dei termini massimi del procedimento (la quale consegue l’obiettivo di definire un quadro di chiarezza e certezza relativo ai tempi in cui il potere pubblico deve essere esercitato, ingenerando una legittima aspettativa nei confronti del privato).


Conclusioni: i principi affermati dall’Adunanza Plenaria


In conclusione, elenchiamo in rassegna i principi di diritto affermati dall’Adunanza Plenaria oggetto della presente relazione:

a) la responsabilità della P.A. per lesione di interessi legittimi (sia da illegittimità provvedimentale, che da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento), ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale. Pertanto, appare necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita. Per quanto attiene alla quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano, dunque, i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta ex art. 2056 c.c., nonché dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato, ex. artt. 1223 e 1227 c.c.; non anche il criterio della prevedibilità del danno previsto dall’art. 1225 cod. civ.;

b) con riferimento al periodo temporale nel quale hanno avuto vigenza le disposizioni sui relativi benefici, è in astratto ravvisabile il nesso di consequenzialità immediata e diretta tra la ritardata conclusione del procedimento autorizzativo ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 e il mancato accesso agli incentivi tariffari connessi alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili quando la mancata ammissione al regime incentivante sia stato determinato da un divieto normativo sopravvenuto che non sarebbe stato applicabile se i termini del procedimento fossero stati rispettati;

c) con riferimento al periodo successivo alla sopravvenienza normativa, occorre stabilire se le erogazioni sarebbero comunque cessate per la sopravvenuta abrogazione della normativa sugli incentivi e, dunque, per espressa previsione contenuta in essa, nel qual caso il pregiudizio sarebbe riconducibile alla sopravvenienza legislativa e non più imputabile all’amministrazione;

d) il danno va liquidato secondo i criteri di determinazione del danno da perdita di chance, ivi compreso il ricorso alla liquidazione equitativa.


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