Quando la tecnica del “Copia e Incolla” rende un ricorso inammissibile: la Sentenza del Consiglio di Stato.

La recente pronuncia del Consiglio di Stato (parere n. 592 del 24 aprile 2024) ha portato alla ribalta una problematica significativa nell’ambito giuridico: l’abuso della tecnica del copia e incolla nella redazione dei ricorsi amministrativi. Questo articolo analizza in profondità le motivazioni che hanno condotto all’inammissibilità del ricorso in esame, offrendo una riflessione sulle implicazioni di tale pratica e sulle migliori prassi per evitarla.

di Redazione Compliancelegale


Il caso di specie


L’efficienza e la precisione nella redazione degli atti giuridici sono essenziali per il corretto funzionamento del sistema giudiziario e per il conseguimento del risultato atteso. Tuttavia, l’uso indiscriminato del copia e incolla può compromettere la qualità e la sostanza dei ricorsi, portando a gravi conseguenze, come evidenziato dalla pronuncia in esame.

In particolare, la fattispecie trattata dal Consiglio di Stato aveva ad oggetto un ricorso presentato avverso un provvedimento disciplinare emesso nei confronti di un militare, accusato di “scarso senso di iniziativa e responsabilità”, con conseguente disservizio nella ricezione di una denuncia-querela.

A seguito di questi fatti, l’amministrazione aveva inflitto una sanzione disciplinare di due giorni di consegna​​.


Le censure del ricorrente e la risposta dell’Amministrazione


Il ricorrente ha sollevato diverse censure contro il provvedimento disciplinare:

  1. Carenza di istruttoria: Il ricorrente sosteneva che l’amministrazione non avesse adeguatamente considerato la ricostruzione dei fatti e le dichiarazioni fornite durante il procedimento. Egli affermava che la decisione fosse stata presa senza una valutazione approfondita delle circostanze​​.
  2. Mancanza di motivazione: Il ricorrente criticava le motivazioni del provvedimento come apodittiche e generiche, non sufficientemente dettagliate da permettere una chiara comprensione delle ragioni alla base della decisione. Egli riteneva, inoltre, che la motivazione fosse insufficiente per giustificare la sanzione disciplinare inflitta​​.

L’Amministrazione (i.e. Ministero della difesa), dal canto suo, ha replicato sostenendo che il ricorso era inammissibile perché le censure sollevate dal ricorrente riguardavano aspetti di merito, piuttosto che di legittimità del provvedimento. Inoltre, ha sottolineato che il provvedimento disciplinare era stato adottato a seguito di una sufficiente istruttoria e che la motivazione fornita era adeguata e coerente​​.

Eccepiva, infine, “la assoluta genericità delle esposizioni in fatto e dei motivi, peraltro realizzata con la tecnica del “copia e incolla” di parte di provvedimenti amministrativi e con caratteri grafici a tratti illeggibili, tale da non consentire l’esatta individuazione della causa petendi e del petitum“.


Il Giudizio del Consiglio di Stato: ricorso inammissibil


Il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso, basando la propria decisione su diversi punti chiave:

  • Discrezionalità Amministrativa: Il Consiglio ha ribadito che la valutazione della gravità dei fatti e l’applicazione delle sanzioni disciplinari rientrano nella discrezionalità dell’amministrazione. Tale discrezionalità non è sindacabile dal giudice amministrativo, a meno che non vi siano evidenti abusi o irrazionalità nella decisione presa (“La valutazione della gravità dei fatti e l’applicazione delle sanzioni disciplinari rientrano nella discrezionalità dell’amministrazione, salvo evidenti abusi o irrazionalità“​​).
  • Adeguatezza della Motivazione: altresì, il Collegio ha giudicato che il provvedimento disciplinare fosse supportato da una motivazione logica e coerente, derivante da un’istruttoria approfondita. La motivazione era ritenuta sufficiente per giustificare la sanzione disciplinare applicata (“Il provvedimento disciplinare era corredato da una motivazione logica e coerente, basata su un’istruttoria approfondita“​​).

Dunque, per il Consiglio di Stato, è da ritenersi inammissibile – per violazione degli artt. 40, commi 1, lett. d), e 2, e 44, comma 1, lettera b), c.p.a. – il ricorso che, per la sua tecnica di redazione, non sia fondato su motivi specifici.

In particolare, il ricorso era stato redatto con la tecnica del copia incolla di provvedimenti amministrativi, alternati a spazi bianchi e argomentazioni confuse riprodotte con caratteri a tratti illeggibili.

Tale pronuncia sottolinea l’importanza di una redazione accurata e puntuale dei ricorsi. L’uso eccessivo del copia e incolla può portare alla superficialità, genericità ed inconferenza delle argomentazioni, rendendo i ricorsi, dunque, inammissibili per mancanza di specificità e approfondimento. Gli avvocati devono prestare particolare attenzione alla personalizzazione delle loro istanze, assicurandosi che ogni parte del ricorso rifletta accuratamente le peculiarità del caso concreto.


Conclusioni


L’uso improprio della tecnica del copia e incolla non solo può compromettere la qualità dei ricorsi, ma può anche diminuire significativamente le probabilità di successo nelle contestazioni legali. I legali, pertanto, hanno il dovere deontologico (prima ancora che professionale) di dedicare il tempo necessario alla stesura degli atti di giudizio che siano dettagliati e specifici, evitando formule generiche e ripetitive che possano essere facilmente individuate e censurate dai giudici.

Tale pronuncia, dunque, serve come monito per tutti i professionisti del diritto: l’attenzione ai dettagli e la cura nella redazione degli atti sono essenziali per la tutela dei diritti dei propri assistiti. Evitare la pratica del copia e incolla non solo migliora la qualità dei ricorsi, ma aumenta anche le probabilità di successo nelle contestazioni legali.


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