Influencer e fisco: i diritti di immagine non sono equiparabili a quelli di proprietà intellettuale (secondo quanto sancito dalla “sentenza Ronaldo”).

La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, con la Sent. n. 219 del 15 maggio 2023, emessa in un giudizio che vedeva coinvolto il calciatore Cristiano Ronaldo, ha stabilito importanti principi in ordine alla corretta individuazione della natura giuridica dei diritti di immagine e del relativo regime fiscale in cui devono confluire i redditi prodotti attraverso lo sfruttamento della propria immagine.

di Avv. Manuel Costa

La vicenda


Il giudizio vedeva coinvolto l’ex calciatore della Juventus, Cristiano Ronaldo, il quale – in forza di un contratto di lavoro sottoscritto con il predetto club calcistico, che prevedeva la remunerazione sia per le prestazioni sportive che per lo sfruttamento dei diritti di immagine – era assoggettato al regime agevolato di cui all’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero, ex art. 24-bis del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (“TUIR”) (a mente del quale, relativamente a tali redditi, è dovuta un’imposta calcolata in via forfetaria nella misura fissa di € 100.000 per ciascun periodo d’imposta).

Per quanto di interesse, Ronaldo (in qualità di contribuente) sosteneva che i redditi derivanti dallo sfruttamento economico della propria notorietà non avessero natura reddituale unitaria, bensì complessa, dovendosi distinguere fra:

  1. lo sfruttamento del “diritto” o “bene” immagine (diritto di immagine in senso stresso), inquadrabile nell’ambito dei redditi assimilati ai redditi di lavoro autonomo;
  2. lo svolgimento di attività esecutive, i cui compensi sono qualificabili come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

Pertanto, deduceva in giudizio l’applicabilità del regime di imposta sostitutiva sui redditi esteri (ex art. 24-bis del TUIR) anche con riguardo ai redditi percepiti dallo sfruttamento economico dei diritti della propria immagine, sostenendo:

  1. in via principale, che tali redditi dovevano ritenersi provento dello sfruttamento economico dei diritti dell’immagine in senso stretto, assimilabile a quello di lavoro autonomo derivante dall’utilizzazione economica, da parte dell’autore o inventore, di opere dell’ingegno (ex art. 53, co. 2, lett. b del TUIR);
  2. in ogni caso, che i proventi derivanti dalle prestazioni che richiedono la presenza fisica dell’interessato (quali comparse, shooting, apparizioni di vario genere) e dalle attività digitali, dovevano intendersi quali redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (ex art. 50, co. 1, lett. c bis del TUIR).

Al contrario, l’Agenzia delle Entrate sosteneva che il reddito derivante dallo sfruttamento del diritto di immagine doveva essere qualificato interamente ed esclusivamente come reddito di lavoro autonomo.


Il giudicato della Corte ed i principi innovativi affermati in Sentenza


La Corte di Giustizia di secondo grado del Piemonte, nel confermare ed uniformarsi a quanto già statuito in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale di Torino la quale, in data 23.3.2023, aveva respinto il ricorso presentato da Cristiano Ronaldo, ha ritenuto infondate le pretese avanzate dal noto calciatore in virtù di un duplice profilo.

In primo luogo, cita testualmente la Corte, è doveroso “rilevare l’infondatezza della prospettazione della difesa dell’appellate in merito alla riconducibilità del reddito derivante dallo sfruttamento dell’immagine del calciatore in questione a quelli disciplinati dall’art. 3, comma 2, lett. b) TUIR e, cioè, ai «redditi derivanti dalla utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno, di brevetti industriali …». È bensì vero, infatti, che il diritto d’immagine costituisce un diritto immateriale appartenente alla sfera personale ed esclusiva dell’individuo, ma ciò non autorizza certamente ad equipararlo, sotto il profilo fiscale, ai diritti appartenenti alla proprietà intellettuale.  

È invero di palese evidenza che l’immagine oggetto del diritto in questione, sicuramente foriero di sfruttamento commerciale, non costituisce affatto il prodotto di un’opera intellettuale (avente una vita completamente indipendente rispetto al suo creatore), costituendo invece una qualità personale del soggetto interessato che, lungi dall’avere una propria totale autonomia rispetto al suo titolare, dipende strettamente ed, anzi, è inscindibilmente connesso alla sua persona (sia esso un attore, un cantante, uno sportivo, o altro personaggio noto per qualsivoglia motivo) ed è munito di un proprio valore economico proprio in proporzione alla «fama» acquisita di giorno in giorno dal soggetto in questione, sia grazie alle attività da lui compiute, sia grazie alla sua capacità di proporsi mediaticamente come personaggio interessante (anche commercialmente)”.

Infine, sotto un secondo profilo, la Corte ha sostenuto – si riporta testualmente – “la totale infondatezza anche della prospettazione avanzata in via subordinata dal Contribuente, laddove sostiene che lo sfruttamento del diritto all’immagine determinerebbe il maturare di «redditi diversi» considerati, quale categoria residuale, nel disposto dell’art. 67, comma 1, lett. l) TUIR.

I redditi maturati da [Cristiano Ronaldo, ndr.] trovano, invero, uno specifico inquadramento nell’ambito dei redditi da lavoro autonomo […], nondimeno non trascurabile è il dato per cui la gestione del diritto di immagine è svolta dal Sig. [Cristiano Ronaldo, ndr.] con i requisiti dell’abitualità e professionalità di cui all’art. 53, comma 1, del TUIR. Infatti, [a mente della citata norma, ndr] «sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni» dove per «arti e professioni» si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle rientranti nel reddito di impresa”.

Ed ancora, continua la Corte, “è doveroso evidenziare che, nel moderno mondo globalizzato, la notorietà dei personaggi pubblici, ancorché originata da una qualche specifica attività artistica o professionale, dipende ormai, in misura assai maggiore, dalla capacità del soggetto interessato di promuovere il proprio personaggio, in modo professionale, sui mezzi di comunicazione di massa, rendendolo così un prodotto interessante. Si pensi, ad esempio, a quanto succede con le numerose figure di «influencer» … oramai diffusissime sulla rete telematica, la cui notorietà spesso prescinde da particolari abilità o successi in qualche settore di attività e consegue principalmente – e talvolta esclusivamente – da una particolare abilità nella mera presentazione della propria persona. Ciò vale anche per coloro che hanno raggiunto quella «fama» grazie a particolari prestazioni di natura sportiva, televisiva, cinematografica, artistica, dagli stessi rese nel corso della loro vita.

La distinzione tra l’immagine di quei personaggi, sfruttabile commercialmente, e le attività professionali che li hanno resi famosi appare in modo particolarmente evidente nel caso in cui quelle stesse attività ad un certo punto siano cessate, per i motivi più vari (ad esempio, nel caso dei calciatori, essi abbiano smesso di giocare per ragioni anagrafiche), e nondimeno il titolare del diritto abbia mantenuto una visibilità personale suscettibile di sfruttamento economico e, dunque, autonomamente foriera di un reddito. Dunque, l’esercizio abituale e professionale della gestione di quell’immagine rende evidente la qualificabilità del reddito che ne consegue come proveniente da un’attività di lavoro autonomo, a norma dell’art. 53,, comma 1, TUIR”.

Infine, si evidenzia il seguente passaggio “chiave” della Sentenza in commento, mediante il quale il Collegio giudicante ha rappresentato di non doversi “confondere l’inquadramento giuridico del rapporto di lavoro sportivo (svolto, al tempo in cui si riferiscono i fatti per cui è processo, sotto le forme del lavoro subordinato), da cui trae origine la notorietà del personaggio “C.R.” con l’«immagine» acquisita dal medesimo non solo in conseguenza delle prestazioni lavorative, ma anche grazie alla capacità di apparire e proporsi nel mondo della comunicazione come soggetto «interessante» e, dunque, utilizzabile a fini promozionali e commerciali. […] Ciò che infatti emerge prepotentemente, in fenomeni del tipo di cui ci si occupa in questa sede, è il fatto che l’immagine del personaggio famoso finisce per costituire di per sé un valore, la cui promozione rappresenta essa stessa un’attività professionale (avente natura di lavoro autonomo) produttiva di reddito.


Conclusioni


Come evincibile dalla lettura dei paragrafi che precedono, per la prima volta la giurisprudenza ha tenuto in considerazione e dato risalto a quelli che sono i nuovi fenomeni di sfruttamento mediatico dell’immagine di personaggi pubblici (c.d. “influencer”), la cui notorietà prescinde dal fatto che sia “originata da una qualche specifica attività artistica o professionale” giacché, oramai, dipende “in misura assai maggiore, dalla capacità del soggetto interessato di promuovere il proprio personaggio, in modo professionale, sui mezzi di comunicazione di massa”

Conseguentemente, proprio tale attività di promozione costituisce – sotto il profilo fiscale – apposita ed evidente attività di lavoro autonomo, non essendo (contrariamente a quanto sostenuto dal contribuente) qualificabile come attività di impresa, in quanto non solo vi è una prevalenza dell’intuitu personae, ma finanche l’assenza di una stabile organizzazione di mezzi e di capitale (così come ex lege previsto).

Inoltre, circa il profilo di individuazione della territorialità del reddito, la Corte si è espressa richiamando il criterio di determinazione nel luogo di esercizio dell’attività (conformemente all’articolo 23, comma 1, lettere d) e f) del TUIR). Invero, essendo l’attività di gestione dell’immagine strettamente correlata alla persona fisica a cui l’immagine inerisce, deve essere considerata in via presuntiva – fatta salva ogni prova contraria – come esercita nel luogo in cui la persona abitualmente risiede, in quanto non dissociabile da quest’ultima.

Da ultimo, si segnala come la Corte abbia rigettato la tesi dell’equiparabilità dei redditi derivanti dallo sfruttamento dell’immagine a quelli derivanti dallo sfruttamento delle opere dell’ingegno (i.e. diritti d’autore e diritti di proprietà intellettuale).

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Nota: la ragazza in copertina è stata generata con l’ausilio dell’intelligenza artificiale (Microsoft Bing – Image Creator)


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