AirBnb perde di fronte al TAR Lazio: la cedolare secca dovrà essere pagata dalla piattaforma e non dai privati.

AirBnb perde di fronte al TAR Lazio: la cedolare secca dovrà essere pagata dalla piattaforma e non dai privati.

di Redazione Compliance Legale

Introduzione

Il regime fiscale introdotto per le locazioni brevi ha previsto l’obbligo per società come Airbnb di operare una ritenuta del 21% sull’ammontare dei canoni e dei corrispettivi all’atto del pagamento, da versare poi al Fisco.

La normativa, inoltre, prevede che chi svolge attività di intermediazione immobiliare o gestisce portali telematici, se residente in Italia o ivi avente una stabile organizzazione, deve operare come sostituto d’imposta.

Nel caso in cui il medesimo soggetto non risieda in Italia e sia riconosciuto privo di una stabile organizzazione, lo stesso sarà tenuto a nominare un rappresentante fiscale per adempiere agli obblighi fiscali in qualità non già di sostituto d’imposta, bensì di responsabile d’imposta. 

Il soggetto che gestisce il portale telematico sarà tenuto a raccogliere e trasmettere all’Agenzia delle entrate tutti i dati relativi ai contratti di locazione breve conclusi per il loro tramite.

Su questo presupposto normativo, la società Airbnb ricorreva di fronte alla TAR del Lazio lamentando profili di incompatibilità della normativa con i principi del diritto europeo.


AirBnb contro Agenzia delle Entrate.


airbnb

Secondo la difesa di Airbnb, il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che impone alla parte ricorrente lo svolgimento di un’attività di vero e proprio sostituto d’imposta (nonché di raccogliere e trasmettere un’ingentissima mole di dati all’amministrazione finanziaria, e di nominare un rappresentante fiscale in Italia), e la normativa presupposta, del quale esso costituisce attuazione, contrasterebbero con varie disposizioni di diritto europeo, e in particolare con le disposizioni in materia di concorrenza e non discriminazione, diritto di stabilimento e libertà di circolazione dei servizi(quali racchiuse negli artt. 56 e 101 ss. del TFUE e nelle direttive 2006/123 e 2000/31/CE).

Sempre secondo Airbnb, l’obbligo posto in capo a soggetti come Airbnb di inviare all’Agenzia delle Entrate una comunicazione in occasione della stipula di ogni nuovo contratto rappresenta un vincolo di natura operativa e funzionale che ne ostacola ingiustificatamente l’attività sul mercato.

Si tratterebbe di adempimenti che mal si conciliano con l’attività economica connessa alle locazioni brevi, caratterizzate da un numero ingente di contratti che richiedono una gestione rapida, e che si tradurrebbero in una ingiustificata limitazione dell’accesso e dell’esercizio dell’attività ricettiva extralberghiera.

Di visione opposta, però, il Tribunale Amministrativo, il quale ritenendo infondate le ricostruzioni di Airbnb, ne rigettava tutti i motivi di ricorso.


La normativa comunitaria: art. 56 TFUE


A detta dei giudici, occorre preliminarmente rilevare come l’unica libertà sancita nel TFUE, che può avere rilevanza nel caso di specie, sia quella di prestazione di servizi, in quanto la società Airbnb non è stabilita in Italia.

Secondo consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, l’articolo 56 TFUE osta all’applicazione di qualsiasi normativa nazionale che abbia l’effetto di rendere la prestazione di servizi tra Stati membri più difficile rispetto alla prestazione di servizi puramente interna.

airbnb

Infatti, conformemente alla giurisprudenza della Corte, l’articolo 56 TFUE esige l’eliminazione di ogni restrizione alla libera prestazione dei servizi imposta per il fatto che il prestatore sia stabilito in uno Stato membro diverso da quello in cui sia fornita la prestazione.

Nel caso in esame, la normativa contestata da Airbnb impone identici obblighi sia a carico dei soggetti intermediari che hanno residenza in Italia sia di quelli non residenti né stabiliti in Italia che gestiscono portali telematici mettendo in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare.

L’unica differenza, dunque, è che mentre i soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato operano, in qualità di sostituti d’imposta, una ritenuta del 21 per cento sull’ammontare dei canoni e corrispettivi all’atto del pagamento al beneficiario e provvedono al relativo versamento, i soggetti che – come Airbnb – non sono stabiliti in Italia, ottemperano ai medesimi obblighi in qualità di responsabili di imposta, mediante la nomina di un rappresentante fiscale.

Sotto il profilo della imposizione degli obblighi informativi e degli obblighi di ritenuta e versamento, dunque, non si ravvisa nessuna disparità di trattamento.

Tutti gli operatori del mercato, residenti, stabiliti in Italia e non stabiliti soggiacciono alla medesima normativa e devono adempiere ai medesimi obblighi.

L’assenza di alcuna discriminazione nel trattamento dell’operatore non residente e non stabilito, né in via diretta né dissimulata, con riferimento ai citati obblighi di informazione e di ritenuta e versamento della cedolare secca, in conclusione, consente di escludere che vi sia, ad opera della normativa in questione, una violazione della libertà di prestazione di servizigarantita dal Trattato UE.

È chiaro, continua il Tribunale amministrativo, che questa scelta, dettata dall’esigenza di combattere un fenomeno diffuso e importante di evasione fiscale, in questo settore, può avere ripercussioni sugli intermediari che intervengono nel pagamento in termini di incremento di oneri gestionali a loro carico.

Tuttavia, come la Corte di giustizia UE ha già affermato, non rientrano nell’ambito dell’articolo 56 TFUE le misure il cui unico effetto sia quello di causare costi supplementari per la prestazione in questione e che incidano allo stesso modo sulla prestazione di servizi tra Stati membri e su quella interna a uno Stato membro


AirBnb ed i problemi legati alla Privacy.


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Nei motivi di ricorso, Airbnb solleva profili di illegittimità anche sul fronte della privacy.

Il trattamento imposto dal provvedimento impugnato parrebbe in violazione dei principi di liceità e correttezza, finalità, proporzionalità, pertinenza e non eccedenza (cd. principio di minimizzazione del dato), degli artt. 5 e 6 Reg. UE 679/2019 (GDPR).

Secondo la ricostruzione della difesa di Airbnb, i dati in questione (da comunicare al Fisco), infatti, esulerebbero da quanto strettamente necessario al fine di promuovere la conclusione di contratti di locazione di breve durata, attraverso lo sfruttamento di una piattaforma telematica come quella di Airbnb.

Anche sotto questo profilo, la prospettazione di Airbnb non è stata condivisa dal Tribunale Amministrativo.

I dati personali oggetto di comunicazione all’Agenzia delle Entrate rappresentano infatti i dati minimi necessari per consentire l’identificazione del titolare dell’immobile locato, al fine di calcolare l’imposta dallo stesso dovuta.

I dati in questione sono infatti: “il nome, cognome e codice fiscale del locatore, la durata del contratto, l’importo del corrispettivo lordo e l’indirizzo dell’immobile.”

Si tratta di dati che, ad eccezione del codice fiscale, dovrebbero essere già in possesso dell’intermediario in relazione alla conclusione del contratto.

È prevista inoltre per i contratti relativi al medesimo immobile e stipulati dal medesimo locatore, la possibilità che la comunicazione dei dati possa essere effettuata anche in forma aggregata.

Il principio di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza dei dati richiesti, dunque, risulta essere pienamente rispettato.

Airbnb ha già annunciato di voler fare ricorso al Consiglio di Stato.


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