Il partenariato per l’innovazione: un’innovativa e peculiare procedura al servizio dello sviluppo economico e digitale

Prima facie, l’iter procedurale in commento permette di rendere disponibili beni, ovvero servizi, non ancora “conosciuti” e immessi sul mercato, soddisfacendo così – in maniera alternativa – i principali bisogni e le esigenze della collettività. In altri termini, grazie a questo è possibile coniugare la fase di ricerca e sviluppo di prodotti, servizi o lavori a carattere innovativo, con quella del loro – eventuale – acquisto da parte dell’Amministrazione, senza dover ricorrere a un’ulteriore e distinta gara, in ossequio all’assunto secondo cui la competizione – tra operatori economici – si sia già svolta nella fase prodromica, nel pieno rispetto delle disposizioni e dei principi a tutela della concorrenza.

Dott. Federico Muzzati

Genesi e ratio operativa


Tra le principali novità introdotte dal pacchetto normativo europeo in tema di appalti e concessioni rientra certamente a pieno titolo il partenariato per l’innovazione, recepito in seguito dal legislatore domestico ex art. 65 del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (c.d. Codice dei contratti pubblici).

Per potervi ricorrere è necessario “integrare” due differenti presupposti: in primis, si scorge l’esigenza delle Amministrazioni di rivolgersi a una sorta di “mercato delle conoscenze”, mentre, in secundis, si riviene il bisogno di ricercare un bene non ancora conosciuto, ma necessario per lo sviluppo di soluzioni all’avanguardia.

Così facendo, è possibile creare nuova domanda, evitando tuttavia di limitare, far venir meno o distorcere la concorrenza.

Questa particolare procedura riflette appieno il favor delle Direttive europee nei confronti di schemi procedimentali quanto più flessibili, duttibili e malleabili, non ingabbiati da rigidi costraints e formalismi, in un’ottica di rinnovata “stima” e fiducia nei confronti delle stazioni appaltanti. È proprio in questo “milieu” che l’istituto di cui trattasi ha visto la luce; detta diversamente, il legislatore europeo sembra aver compreso come la rigidità e il formalismo esasperato delle procedure di gara, il cui scopo dichiarato era quello di combattere il fenomeno corruttivo e il malaffare, abbia invece inciso e influito negativamente sulla qualità degli affidamenti e degli appalti.

Il partenariato per l’innovazione – per essere pienamente compreso – deve essere valutato nell’ottica del perseguimento di un agire amministrativo che sia il più efficiente e informato possibile circa la fisionomia del mercato in cui questo si trova a dover operare; ciò permette, infatti, alle Amministrazioni di avere dettagliata contezza delle caratteristiche dei beni da acquistare, di modo da poter selezionare la miglior offerta ricevuta.

In nuce, e in conclusione, questa procedura permette di implementare il know how a disposizione delle stazioni appaltanti, grazie all’acquisizione di nuove conoscenze tecniche e scientifiche, apportate dalla sinergia instaurata con il settore privato, potendo fronteggiare così, adeguatamente, le più impervie sfide tecnologiche e economiche riguardanti il settore della contrattualistica pubblica.


La struttura di cui al D.lgs. 50/2016


Anzitutto, appare utile mettere sin da subito in chiara evidenza come si tratti di sequenza procedurale flessibile e “speciale” per l’aggiudicazione di contratti di appalto – intrinsecamente – alquanto complessi, di durata significativa e finanche innovativi.

Dunque, questa si colloca in rapporto di specialità nei confronti della procedura competitiva con negoziazione.

Invero, la dottrina, inquadra il partenariato per l’innovazione alla stregua di un iter procedurale ristretto con negoziazione, al cui interno, però, si rinvengono caratteristiche tipiche sia di quello che di quello negoziato, così come rispettivamente definiti ai punti ttt) e uuu) dell’art. 3 del Codice dei contratti pubblici.

Venendo invece alla propria struttura, questo, si può ben disarticolare diacronicamente in tre differenti sentieri principali; il primo riguarda la scelta del soggetto, ovvero dei soggetti con i quali instaurare il modulo collaborativo (melius: il partenariato); il secondo afferisce al progressivo sviluppo dell’attività di ricerca, mentre, il terzo e ultimo, concerne l’eventuale acquisto delle forniture, lavori ovvero servizi sviluppati nella precedente fase (di ricerca).

Come si può desumere da quanto testé detto, si tratta, dunque, di un processo a formazione progressiva, in cui il soggetto privato viene costantemente coinvolto, e l’attività dell’Amministrazione, ovvero dell’ente aggiudicatore, è continuamente monitorata, al fine di assicurare la corrispondenza della fase della gara alla sequenza degli step del procedimento di innovazione.

Il partenariato in commento esordisce con la pubblicazione del bando di gara – al cui interno sono contenuti i requisiti di prequalificazione –, il cui scopo è quello di individuare gli operatori economici che potenzialmente possono svolgere le attività dedotte nel contratto.

Concluso questo primo momento, l’Amministrazione chiederà – nella lettera d’invito – la formulazione di un’offerta, unitamente alla documentazione necessaria per l’aggiudicazione dell’appalto – avvalendosi del criterio del miglior rapporto qualità/prezzo – a tutti coloro che abbiano inviato regolarmente la loro “candidatura”, e che siano stati valutati come idonei e qualificati alla procedura.

In base all’esito della valutazione di ogni singola fase, la stazione appaltante permetterà l’accesso a quella successiva ai candidati selezionati.


Il criterio di aggiudicazione


Come poco supra anticipato, l’aggiudicazione degli appalti mediante il partenariato per l’innovazione avviene esclusivamente mediante il c.d. miglior rapporto qualità/prezzo, in accordo con il dettato di cui all’art. 95 del Codice dei contratti pubblici.

Si tratta di un parametro alquanto efficace e calzante con la circostanza di cui trattasi, in quanto non prende in considerazione solo il mero prezzo, ma svolge valutazioni più ampie e approfondite, tenendo conto di tutti i costi legati al ciclo di vita del bene, dalla sua acquisizione, fino allo smaltimento, senza trascurare nemmeno le esternalità (positive o negative che siano) e i costi sociali.

Invero, tale criterio valutativo è proteso verso il futuro, poiché permette di valutare realmente “ex professo” e a tutto tondo tanto le caratteristiche qualitative, come il pregio tecnico dell’offerta, quanto quelle economico-quantitative, quali la commerciabilità, l’accessibilità, i servizi post-vendita (e altri aspetti), alla luce del fatto che la procedura si sviluppi durante un ampio arco temporale.

Di più, ciò oltre a rendere quanto mai più efficiente possibile la valutazione e la conseguente scelta, permette di coniugare e bilanciare adeguatamente le esigenze di sviluppo del sistema Paese con quelle di protezione e salvaguardia dell’ambiente. Perciò, non ci si limita più solamente a perseguire logiche di risparmio immediato, specie in questo caso, ove si andranno a sviluppare e acquistare prodotti, servizi o lavori di lunga durata; anche perché le variabili sono molteplici e in continuo divenire in itinere, causando il rischio di un aumento esponenziale con il decorrere del – fondamentale – fattore tempo.

In conclusione, sembra proprio come la frontiera ultima del diritto dei contratti pubblici sia quella di spingere le Amministrazioni a acquistare in maniera quanto mai coscienziosa e oculato, valutando non solamente il mero dato numerico e il risparmio, bensì anche tutti gli altri fattori – non secondari – che si è tentato di elencare brevemente, in accordanza con le indicazioni rese del Libro Verde della Commissione europea in materia di “che cosa acquistare a sostegno degli obiettivi previsti dalla Strategia Europa 2020” e “come comprare per realizzare gli obiettivi della Strategia Europa 2020”.


Alcune riflessioni finali


Appare utile spendere, infine, alcune parole sull’attuale stato di diffusione della procedura sul territorio nazionale e sulle sue potenzialità di sviluppo future, tentando di sottolineare come possa essere un utile strumento per lo sviluppo, tanto economico, quanto digitale; infatti, questa, se debitamente utilizzata, potrebbe certamente contribuire – imprimendo un’accelerazione non indifferente – allo sviluppo digitale delle Amministrazioni.

La prima applicazione del partenariato per l’innovazione nel nostro Paese è avvenuta a Venezia, ove è stata realizzata – in collaborazione tra il Comune, TIM e Olivetti – la prima Smart Control Room italiana.

È da rilevare però, come allo stato attuale, questa importante possibilità non sia ancora così conosciuta e utilizzata nella prassi, forse a causa del fatto che per le Amministrazioni, tale procedura, risulti alquanto più complessa di una “tradizionale” gara d’appalto, perché si devono previamente approfondite analisi, motivando le ragioni che non permettono di riscontrare il prodotto ovvero il servizio di cui si abbisogna sul mercato.

Di più – come si è poi già suddetto – le stazioni appaltanti devono costantemente essere presenti e attive durante il fondamentale periodo di co-progettazione, e ciò, com’è facilmente intuibile, richiede non poche risorse e specifiche competenze.

Merita anche di porre in evidenza, come nel sopracitato caso di specie (ad oggi ancora un unicum) il fattore del tempo, nonostante la notevole complessità di ciò che si doveva realizzare, non sia per nulla stato un ostacolo, dato che il bando è stato pubblicato a luglio duemiladiciassette, l’aggiudicazione è avvenuta nel maggio duemiladiciannove, mentre la realizzazione è terminata appena un anno dopo.

Nel panorama domestico, si può ben affermare come l’aver impiegato solamente tre anni per la ricerca, lo sviluppo e la concretizzazione pratica di un’opus ad elevato contenuto tecnologico, coinvolgente più soggetti, pubblici e privati, costituisca una sorta di vero e proprio record.


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